La disabilità nei giochi

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di Simona Lancioni

 

Ultimamente c’è una grande produzione di giocattoli che rappresentano persone disabili, anche se il fenomeno non è certo una novità. Tuttavia, fare in modo che tutti i bambini e le bambine – ognuno e ognuna con la propria diversità – possano giocare assieme, continua a rimanere il miglior modo per fare esperienza della diversità.

 

Becky, la bambola in sedia a rotelle realizzata dalla Mattel nel 1997. Becky, la bambola in sedia a rotelle realizzata dalla Mattel nel 1997.

 

Se le persone con disabilità fanno parte dell’umanità, anch’esse, al pari delle altre, devono essere raccontate e rappresentate. Dove? Ovunque! In proporzione, certo, ma ovunque. Nella letteratura, sui giornali, in TV, nella pubblicità… nei giochi. Ultimamente c’è una grande produzione di giocattoli che rappresentano persone disabili, anche se il fenomeno non è certo una novità. L’ultima arrivata è la Lego, che ha presentato alla Fiera Internazionale del Giocattolo di Norimberga un nuovo personaggio in sedia a rotelle (della serie City). L’iniziativa è stata presa dietro la sollecitazione della campagna social Toy Like Me (letteralmente “Un giocattolo come me”), rivolta da tre mamme di bambini disabili inglesi alle aziende produttrici di giocattoli per indurle a realizzare giochi rappresentativi della disabilità, e dalla petizione indirizzata espressamente alla Lego, “Per favore, rappresenta positivamente la disabilità attraverso i tuoi giocattoli” (ospitata nel sito Change.org), che ha raccolto più di ventimila firme. Le adesioni alla campagna delle mamme inglesi sono state diverse (nel sito del Corriere della sera è pubblicata una galleria fotografica che mostra alcune realizzazioni). Anni addietro (nel 1997) c’era stata Becky, la bambola in sedie a rotelle amica della, decisamente più famosa, Barbie (prodotte entrambe dalla Mattel), e ora, perché proprio nessuna si senta esclusa, stanno arrivando anche le versioni di Barbie minuta, bassa e «curvy». Ogni tanto qualcuno tira fuori il bambolotto con i tratti tipici della sindrome di Down, e anche questo, manco a dirlo, si porta dietro il suo bel corredo di polemiche. Poi c’è anche, naturalmente, chi invece la bambola disabile la produce proprio per fare polemica, come nel caso della “bambola handicappata GIL”, provocatoriamente realizzata nel 2012 dalla Cooperativa per la Vita Indipendente di Göteborg (GIL) al fine di contrastare il pietismo ed il buonismo a cui spesso sono soggette le persone disabili. «Se avete un profondo bisogno di essere dolci e sensibili con qualcuno che ha una disabilità fisica o intellettiva, compratevi una di queste bambole», invitava Anders Westgerd, promotore dell’iniziativa, persona con disabilità, ed esponente di GIL.

Ma questi “giocattoli disabili” sono utili? I bambini e le bambine con disabilità potrebbero aver desiderio di sentirsi rappresentati, e di trovare tra i tanti giocattoli disponibili anche quello che rispecchia in modo più fedele le proprie caratteristiche. I bambini e le bambine senza disabilità non dovrebbero farsi particolari problemi a giocare con qualsiasi gioco, e, così facendo, a confrontarsi con le tante diversità che possono caratterizzare gli esseri umani. L’importante, credo, è che la scelta di giocare con questo o con quel gioco rimanga spontanea, e non sia imposta dagli adulti. Infatti non è scontato che tutti i giochi piacciano a tutti i bambini, e che anche i bambini e le bambine con disabilità gradiscano e preferiscano sempre i “giocattoli disabili”. Qualcuno o qualcuna potrebbe concludere: «siccome sono diverso/a, mi regalano giochi diversi…»

Il personaggio in sedia a rotelle recentemente prodotto dalla Lego. Il personaggio in sedia a rotelle recentemente prodotto dalla Lego.

 

Qualcosa di simile è accaduto a Valeria Alpi, giornalista con disabilità, quando, a sei anni, le regalarono un Cicciobello nero. Scrive Alpi sul suo blog: «Vivevo già la mia di diversità, sapevo che ci avrei fatto i conti tutta la vita con la diversità, ero sempre in ospedale e i miei momenti di gioco erano diversi da quelli degli altri bambini: potevo almeno per quella mezzora in cui facevo finta di fare la mamma avere un “figlio” bello e normale e dimenticarmi di dover sempre fare i conti con la diversità? Almeno nel gioco? Eh no. Avevo un figlio nero che nessuno voleva.»

Forse, ferma l’importanza di rappresentare tutte le diversità umane (anche nei giochi), converrebbe lavorare di più perché i bambini e le bambine con disabilità siano messi in condizione di giocare assieme agli altri bambini e alle altre bambine con gli stessi giochi utilizzati da tutti e tutte. Purtroppo i progetti realizzati non sono ancora tantissimi, ma qualcosa si sta facendo per rendere accessibili i diversi giochi utilizzati per allestire i parchi gioco. Fare in modo che tutti i bambini e le bambine – ognuno e ognuna con la propria diversità – possano giocare assieme, continua a rimanere il miglior modo per fare esperienza della diversità. Tra giocare con un “giocattolo disabile”, e giocare con un bambino disabile, credo che la seconda sia sempre da preferire.

 

 

Ritratto di lan-s=d2KZu

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