di Annalisa Benedetti
Ho cominciato a frequentare i locali della UILDM quando ero bambina, primi anni Ottanta. Mi ci portava mia mamma. Mentre lei lavorava, allora era addetta alla contabilità, io giocavo con gli attrezzi che si trovano in un ufficio: penne, fogli, graffette.
All’età di 14 anni, ho partecipato come volontaria ad un campo estivo autogestito organizzato dall’associazione e, in quell’occasione, ho conosciuto le persone della UILDM. Donne e uomini, ragazze e ragazzi. L’impatto con ciò che usualmente definiamo disabilità, non c’è stato. Per me, la disabilità, era la proprietà intrinseca di una persona. Da quell’esperienza, ho cominciato a frequentare i locali della UILDM per stare con le persone.
Poi c’è stato un periodo di latenza, durante il quale ho studiato fino a diplomarmi infermiera professionale.
Ho ripreso a frequentare la UILDM più costantemente, quando ho cominciato a lavorare, nei primi anni Novanta. Nel frattempo, della UILDM avevo scoperto le attività che portava avanti e le sue linee politiche. Mi sono dedicata a quelle abbandonando, fisicamente parlando, le persone. Mi sono candidata per far parte del Consiglio direttivo e così è stato per quasi due mandati, il secondo dei quali come vicepresidente.
Ho partecipato a più assemblee nazionali durante le quali ho sperimentato le dimensioni più belle e conosciuto le persone più in gamba della UILDM, persone che sono state punti di riferimento importanti, persone che mi hanno inoculato voglia di “esserci” e di “continuare”.
Ho visto nascere il Gruppo donne e, dopo un paio d’anni, mi sono ritrovata a far parte del suo Coordinamento. All’inizio un po’ intimorita e imbarazzata, poi sempre piùconvinta e motivata. E qui una parentesi è d’obbligo. Perché se fino a quel momento non avevo mai preso in considerazione la questione del “genere”, ecco, grazie a questo gruppo – unico gruppo peraltro dove finora io mi sia sentita veramente libera di esprimermi senza giudizi e pregiudizi – ho cominciato a prestare attenzione al “lato femminile” e ad interessarmi ad una serie di temi e approfondimenti che mi hanno aperto un altro mondo di umanità assai variegato e stimolante.
Tornando alla mia cronistoria personale, già quella brevissima esperienza alla vicepresidenza di una sezione locale, mi aveva fatto capire che i ruoli politici e tanto meno quelli di potere, non facevano per me. A metà del secondo mandato, nel 1999, sono decaduta dall’incarico di vicepresidente perché assunta dell’associazione come impiegata per supportare le attività di segretariato. Ruolo che ho assai preferito.
Io mi ritengo tutt’oggi un’ottima esecutrice, seppur in autonomia e responsabilità, ma solo se subordinata.
Per un po’ di anni, io e mia mamma siamo state colleghe. Nel frattempo però lei non si occupava più solo di contabilità – per quel settore era già stata assunta appositamente un’altra persona – in quanto era diventata quel che oggi si definirebbe “direttore generale” o, meglio, “direttore sociale”.
La cosa più difficile è stata “mettere i paletti” fra l’attività di volontariato e l’attività lavorativa, ma soprattutto, far capire alle persone dell’associazione che io non ero mia mamma. Quando è andata in pensione, ho avvertito la sensazione che tutti s’aspettassero che io, automaticamente, “prendessi il suo posto”. Ma non avrei mai potuto e tanto meno voluto. Idee e carattere diversi, formazione e approcci diversi, interessi completamente diversi.
C’era poi la questione, a mio avviso fondamentale: a differenza sua, io non avevo scelto di dedicare la mia vita alla UILDM, ma un certo numero di ore – remunerate – per una determinata mansione.
C’è stato un momento di crisi. Volevo scappare. Poi, c’è stata la riorganizzazione interna. Una nuova assunzione. Un percorso durato quasi cinque anni per ridistribuire risorse umane, ruoli e mansioni “formando” quello che attualmente è definito “staff”. Non più un’unica persona a dirigere l’associazione, ma un determinato gruppo di persone, ognuna delle quali ha in carico un’area tematica. Qualcosa era cambiato.
Poi un’aspettativa di sei mesi per motivi personali.
Quando sono rientrata, qualcosa era cambiato in me. Non sono scappata – seguendo peraltro il prezioso consiglio che mia mamma stessa mi aveva dato allora. Ho atteso e trovato la forza per “lasciarmi andare via” senza rimpianti, né risentimenti. Solo con un ricordo meraviglioso.
Nel settembre 2009, mi sono dimessa.
Per me la UILDM non è stata solo un posto di lavoro. Principalmente è, e rimarrà, luogo di relazione e incontro dove sono cresciuta fisicamente e maturata come persona, dove ho imparato il rispetto, affinato l’arte dell’ascolto, colto la dignità, appreso l’onestà, messo a punto la mia identità. Dove ho conosciuto persone splendide e incontrate di pessime.
Il luogo dove ho vissuto un pezzo importante della mia vita e dove, in ogni momento, so che potrò tornare e sentirmi sempre accolta.
Il Gruppo donne e in particolare il suo Coordinamento, è stato e continua ad essere per me, l’oasi in cui coltivo il meglio del mio tempo libero, dove ritrovo tutti quei valori e quelle doti che “il logorio della vita moderna” tenderebbe a farti dimenticare: calma, saggezza, rispetto, profondità d’animo, intelligenza… e anche un po’ di vanità femminile!
Confidenza
Mia mamma si chiama Edvige Invernici, c’è tuttora alla UILDM di Bergamo. Da lei ho sicuramente ereditato la passione. La UILDM è stata per vent’anni il nostro “motivo” di confronto generazionale per eccellenza.
Devo dire, un gran bel confronto!