Contributo speciale

L’opinione dell’artista

Luca Mesini

Vorrei intervenire al vostro Simposio, analizzando l’argomento in qualità di “artista“, abituato alla vita di relazione come alla solitudine, avvezzo a percepire i pensieri senza parole e constatando, ogni giorno, il lavoro che procedo sul lido dei “caratteri“ che gestiscono la mia sensibilità emotiva. Ho fatto in passato, e sto facendo  recentemente, dei “dialoghi“ laboratoristici con un gruppo eterogeneo di ragazzi diversamente abili, assistiti regolarmente da operatori specializzati presso un centro Diurno.

Posso parlare di loro – donne dall’aspetto adulto a dalla mente bambina – e posso parlare delle donne che lavorano con loro nel ruolo di un operatore socio- sanitario o infermiera.

Ma sempre dal punto di vista di un uomo artista, quindi potendovi dare mille approfondimenti.

Il viso “è” parte a siglo e simbolo della natura umana. Sarebbe riduttivo considerare l’importanza del viso solo a dispetto di un uomo, che è vocativamente più figurativo di una donna (nelle sue analisi relazionali e simbolico-percezionali). La donna è solitamente più spirituale, per quanto sia proprio nella figura femminile, l’importanza che riveste il viso ai

Ritratti eseguiti dai seguenti autori: Rogier Van der Weyden, Pinturicchio, Leonardo, Raffaello, Boldini, Gauguin, Da Volpedo, Modigliani e Picasso Ritratti eseguiti dai seguenti autori: Rogier Van der Weyden, Pinturicchio, Leonardo, Raffaello, Boldini, Gauguin, Da Volpedo, Modigliani e Picasso

Nella storia di tutte le arti, è la raffigurazione umana l’elemento principale dei desideri degli uomini: l’uomo ripete l’uomo – un viso, un corpo, un gesto  – per ridare all’uomo stesso, la memoria di quell’attimo fuggente che è il primo agente espressivo della “natura  umana“. Nei ritratti e nelle opere che rappresentano il viso, sono  raccolti tutti “gli affetti“ umani.

Sono così tanti i riferimenti che non basterebbe leggersi la Storia Illustrata dell’Arte per farsene  una ragione, ma devo comunque darvi qualche contributo.

Qui, avete una piccola ricerca analitica di quanta umanità gli artisti, nei secoli, hanno rappresentato attraverso il viso. L’umanità con tutti i suoi retaggi di carattere, personalità, ceto sociale (status-quo), ma anche tensione  esistenziale, paura, timore, autostima, dubbio, passione, incertezza, fragilità…

suoi “caratteri“ in natura, visto che è il viso la prima delle cose che ci attira.

L’arte raccoglie nel “viso“ i suoi magnifici e importantissimi caratteri.

La ragazza cieca, nel dipinto del 1856 del Maestro Preraffaellita John Everett Millais, con la bimba che le racconta  l’arcobaleno…  quale intensità, quale raccolta di sensibilità, dolcezza, bellezza, amorevolissima connotazione umana si dipana da questa dolce posa a concretare il bisogno d’amore che è insito in ogni creatura?

John Everett Millais, La ragazza cieca, 1856 John Everett Millais, La ragazza cieca, 1856

Antonello Da Messina, 1476, L’Annunciata di Palermo (l’originale è grande come un foglio formato A3) – dove si raccoglie, nel viso femminile, tutto il campo che si presta a dare origine – a quel viso – della bellezza: l’amore eppure la maternità o, volendo, della maternità l’amore per il figlio e l’amore coniugale. Eppure, ciononostante ed anzi proprio per questo – la raffigurazione della vergine Maria che raccoglie e identifica tutte le caratteristiche del viso di una donna, piuttosto che quello di un uomo… Un viso che  aiuta, che rassicura, che significa “vita“, “riparo”…  Penso  proprio che siano questi i sintomi primari del viso di una donna di  fronte ad ogni cosa. Se poi vogliamo elucubrare, come in questo  caso, di fronte all’handicap, certamente…

Concludo. I volti delle donne quando incontrano l’handicap sono “belli”. I volti delle infermiere che ho conosciuto sono “belli” ma si sono rivelati bellissimi proprio al momento dell’incontro. Qui a Nizza Monferrato, ero ricoverato insieme ad altri uomini in una stanza ospedaliera e, durante la notte, un’anzianissima persona – ammalata ma piena del nerbo del vigore maschio che caratterizza la cocciutaggine di ogni uomo, fece un bel salto fuori dal letto e levandosi di dosso tutte quelle flebo – se ne andò… Ritornò in verità subito, con noi che l’aiutavamo, ma furono le due infermiere del turno di notte che lo tanquillizzarono, come la nipote  farebbe con il suo nonno, passandogli le mani sulla fronte e in una continua carezza sul polso della mano, come per accompagnarlo in una dolce ninna nanna, alla necessaria calma del giusto riposo.

Antonello Da Messina, L'Annunciata di Palermo, 1476 Antonello Da Messina, L’Annunciata di Palermo, 1476

Gli esseri umani, ma le donne soprattutto, sono capaci d’amore (gli uomini parecchio di meno, soprattutto se sono tronfi del loro ego e delle loro caratteristiche più nobili: la forza e l’autosufficienza, che quando viene a mancare – come bambini, li può solo far piangere – talvolta manco facilmente, essendo duri e coriacei come un campo che non sa più dare altro frutto che non quello – spesso – di un egoismo  ben piazzato…).

Se per quelle ragioni che vi ho elencato sopra (che sono le note che sfuggono libere dall’espressione dell’Annunciata di Palermo del Messina) noi possiamo avere un’immagine concreta del viso delle  donne  di fronte all’handicap, quante volte, il viso delle infermiere o delle operatrici socio-sanitarie che seguono i ragazzi del Centro Diurno, si lasciano ancora  e sempre fuggire un bel sorriso, nonostante sia severo dialogare ogni giorno con una realtà che somiglia a una dimensione un po’ irreale.

Solitamente poi, invece, come avete sottolineato volendo cercare di capire i volti delle donne colpite da handicap – come nel caso che abbiamo finora analizzato – i volti delle donne non sono sempre uguali e se è vero che nella maggior parte dei casi, chi soffre un handicap ha una solarità nel viso pari a chi vive “una  voglia di vivere più grande del solito dentro” – sarà  determinante – al volto – ovviamente: lo “spirito”. Senza spirito non c’è volto ma soprattutto il volto corrisponde allo spirito. Noi siamo il ritratto (non solo le donne) delle cose più belle che facciamo. Di questi  giorni è una pubblicità che spesso compare nelle pagine web, di una  donna con in braccio il suo bambino appena nato. Per viso, credo che s’intenda quello.

“Negami il pane, l’aria e la luce, la primavera, ma il tuo sorriso mai, poiché ne morirei” (Pablo Neruda).

Possiamo concludere dicendo che il viso delle donne “non NEGA”? Sì.

Possiamo credo proprio dirlo, e Vi ripeto, lo han detto in tanti, cercate nella storia dell’arte, dalla Madonna della Pietà di Michelangelo, alle donne di Boldini e di Toulouse-Lautrec, alle donne  di Mucha e di Schiele, maestri e analisti psico-terapeuti dello stile  Liberty… fino alle figure scritte.

Perché il viso di una donna di fronte all’handicap è sempre quello di una madre, descritto anche attraverso altre forme d’arte come il canto e la poesia.

Un esempio fra tutti: “Hor ch’è tempo di dormire” (Composizione di Tarquinio Merula – 1500/1600).

Hor ch’è tempo di dormire

Dormi dormi figlio e non vagire,

Perchè, tempo ancor verrà

Che vagir bisognerà

Deh ben mio deh cor mio Fa,

Fa la ninna ninna na

 

Chiudi, quei lumi divini

Come fan gl’altri bambini,

Perchè tosto oscuro velo

Priverà di lume il cielo

Deh ben mio deh cor mio Fa,

Fa la ninna ninna na

 

Over prendi questo latte

Dalle mie mammelle intatte

Perchè ministro crudele

Ti prepara aceto e fiele

Deh ben mio deh cor mio Fa,

Fa la ninna ninna na

 

Amor mio sia questo petto

Hor per te morbido letto

Pria che rendi ad alta voce

L’alma al Padre su la croce

Deh ben mio deh cor mio Fa,

Fa la ninna ninna na

 

Posa hor queste membra belle

Vezzosette e tenerelle

Perchè poi ferri e catene

Gli daran acerbe pene

Deh ben mio deh cor mio Fa,

Fa la ninna ninna na

 

Queste mani e questi piedi

Ch’or con gusto e gaudio vedi

Ahimè com’in varij modi

Passeran acuti chiodi

 

Questa faccia gratiosa

Rubiconda hor più di rosa

Sputi e schiaffi sporcheranno

Con tormento e grand’affano

 

Ah con quanto tuo dolore

Sola speme del mio core

Questo capo e questi crini

Passeran acuti spini

 

Ah ch’in questo divin petto

Amor mio dolce diletto

Vi farà piaga mortale

Empia lancia e disleale

 

Dormi dunque figliol mio

Dormi pur redentor mio

Perchè poi con lieto viso

Ci vedrem in Paradiso

 

Hor che dorme la mia vita

Del mio cor gioia compita

Taccia ognun con puro zelo

Taccian sin la terra e’l Cielo

 

E fra tanto io che farò

Il mio ben contemplerò

Ne starò col capo chino

Sin che dorme il mio Bambino

 

Un testo in cui sono racchiusi moltissimi significati – ed è ovvio, visto che sono le riflessioni della Madonna che tiene in braccio il suo figlioletto appena nato… sapendo, però, già tutto.

Che il viso delle donne di fronte all’handicap non sappia, meglio di ogni altro viso, tutto?

Et ivi gli si possa trovare riparo, o quantomeno vivere la speranza di guadagnarselo?

Ancora: osiamo non trovare il viso di una donna di fronte  all’handicap ne: “I 33 nomi di Dio” di Marguerite  Yourcenar, fra i quali mancava soltanto questo (il viso delle donne)?

E un altro ancora: “Il rumore del vento fra le fronde degli alberi”.

Continuare associare ad “amore“ questo viso, è naturale e corretto, anche nel dolore, ma: quanti uomini e donne, di fronte all’handicap, hanno questo viso?

Vivere, lavorare, dover fare un lavoro che non piace, dover accettare compromessi duri, cinici, pesanti. Oppure la disoccupazione: come sopravvivere, dove trovare i soldi, come gestire  i problemi dell’handicap e del mondo che gli ruota intorno… non  tutti riescono a vivere un’infanzia (che per molti altri, che l’han vissuta ancora peggio…) alla Charlie Chaplin e non tutti hanno il  talento per diventare dei Charlie Chaplin.

Luca Mesini, tributo a Maya Nakanishi Luca Mesini, tributo a Maya Nakanishi

Certo, ci si attacca a  quel sorriso sempre e in ogni circostanza. Nemmeno le esperienze più drammatiche, come alcolismo, violenze di ogni tipo, situazioni  anomale e non fortunate, riescono a togliere quel sorriso dalla bocca di una donna… Come sia possibile se non per quelle ragioni che fanno, della natura umana, l’unica cosa comprensibile (visto che poi gli  artisti tentano pure di disegnarla)?

Non potrebbe non essere questo il viso delle donne di fronte all’handicap, perché è lo stesso viso di fronte a un bambino… Le donne “ci credono ancora“. Sono 2000 anni che ci credono e credo che siano forse 10, forse 20, forse un milione di anni fa? Da quanto tempo “ci credono”? Si vede dal loro viso, sempre.

Termino parlando dell’handicap di un’atleta.

Questa ragazza è – ed ha – il viso di una donna che affronta il suo handicap. Non ha i soldi per comprarsi la protesi per partecipare alle Paralimpiadi. Ha deciso, per questo, di realizzare un calendario da vendere sul suo sito web, per raccogliere i fondi necessari. Un  calendario poetico. Nudo e poetico. Ed io, da disegnatore, ho voluto omaggiarla, sperando sia riuscita, nel frattempo, a raccogliere soldi sufficienti per acquistare le protesi.

Questo ha in dote il viso delle donne di fronte all’handicap: la certezza di farcela, ogni santo giorno. L’unica certezza alla quale puoi creder per davvero (l’abbiamo vista nei dipinti – sentita nella canzone,  letta nella poesia…):

Questo è l’opinione di un uomo che non ha a che fare in modo diretto con il mondo degli handicap ma che non disconosce il desiderio di interloquire con quelle che sono le virtù e le nobiltà  della natura umana tutta.

Buon lavoro.

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