Barbara Garlaschelli

Barbara che supera i pregiudizi con la scrittura

A cura di Francesca Arcadu

Barbara Garlaschelli è una scrittrice e donna con disabilità.  Nel suo libro “Non volevo morire vergine” racconta la propria iniziazione al sesso e all’amore tra uomini impacciati, generosi, a volte teneri, a volte crudeli. Ma più di ogni altra cosa racconta il rapporto con un corpo ed una femminilità che trovano nuovi linguaggi e nuove chiavi di accettazione.

Un tuffo, buio, poi più niente. E il risveglio con una vita diversa e un corpo perduto a causa di una lesione midollare. Inizia così, a 15 anni, il percorso di Barbara Garlaschelli verso una vita che va riscritta e una prospettiva – quella seduta – che va conquistata faticosamente. Nel suo ultimo libro “Non volevo morire vergine” (ed. Piemme, 2017), Garlaschelli si racconta con lucidità e profondità, scavando intorno alle emozioni e le consapevolezze  di una vita complessa, ma anche con molta ironia, tipica di chi riesce a trovare la forza per capovolgere un destino che mette alla prova. Il motore che anima il capovolgimento è la consapevolezza di non voler morire vergine, intendendo la verginità non solo del corpo ma anche delle esperienze, dei piaceri della vita, i viaggi, le conoscenze, i successi e i fallimenti. Sulla base di questo profondo desiderio la protagonista sarà capace di riscrivere la sua prospettiva e riconquistare il suo corpo, le consapevolezze sessuali, il piacere, il suo essere donna. Oggi Barbara Garlaschelli è una scrittrice e blogger con all’attivo numerosi romanzi e racconti, vincitrice di premi letterari e impegnata in diversi progetti. Le abbiamo rivolto alcune domande, trovandoci di fronte a una donna brillante e piena di energia.

Nel suo libro racconta una realtà fatta di un prima e un dopo, lo spartiacque è il “corpo negato” che ha dovuto riscrivere la sua identità con una prospettiva differente. Quali sono stati gli ostacoli più grandi? Combattere i limiti che avevo posto a me stessa, più inflessibili e insormontabili di quelli che, oggettivamente, la mia nuova condizione di disabile mi poneva. La riconquista di me stessa come femmina è stata una strada lunga e irta di ostacoli che io stessa mi creavo. Certo, vivere in un paese come l’Italia in cui le barriere culturali e architettoniche sono ancora molte, non ha aiutato.

Come è cambiata la sua consapevolezza di donna con disabilità rispetto alla sessualità, nel passaggio da ragazzina adolescente, che si ritrova all’improvviso su una sedia a rotelle, a donna adulta con un compagno? Si è spalancato un universo di possibilità, desideri condivisi, di vita. Ma il passaggio, ripeto, è stato più un percorso di consapevolezza, di incontri, di sbagli e di vittorie che mi hanno portata, alla fine, a essere la donna che sono.

Qual è il linguaggio migliore per abbattere i tabù legati alla sessualità delle persone con disabilità? L’ironia e la dissacrazione sono fondamentali per abbattere qualunque tabù. In “Non volevo morire vergine” ho affrontato questi temi – sessualità, disabilità, relazioni – e l’ho fatto sia con un registro serio, sia con quello ironico.

(articolo comparso nel numero di DM 192, luglio 2017)

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