Una famiglia: la storia di Sonia, Francesco e Leila

share on:

intervista a Sonia Veres a cura di Valentina Boscolo

Sonia Veres è una conoscenza di lunga data del Gruppo Donne Uildm: abbiamo seguito la sua storia d’amore e in seguito il suo matrimonio con Francesco. Oggi sono genitori di Leila e ci raccontano la loro nuova vita familiare.

Sonia, vuoi parlarci della tua giornata con la piccola Leila?

La mia giornata con Leila è quella di qualsiasi madre, ma per renderla possibile devo avvalermi di alcuni aiuti esterni alla famiglia.

Da tempo sto usufruendo di un contributo economico chiamato “Misura B2”, destinato a chi ha una patologia grave e che viene dato dalla regione Lombardia ai Comuni che sono suddivisi a loro volta in Distretti; il mio distretto aderisce, altri no.

Questa somma mi aiuta per assumere part-time il cosiddetto “caregiver”, ovvero una persona che mi aiuti a svolgere gli atti quotidiani della vita. Ora, tra questi, si aggiunge l’accudimento sotto mia supervisione di mia figlia: infatti l’assistente, che già aiutava me, su mie direttive adesso arriva dove io non posso nella sua cura.

Credi si possa fare di più, per la tutela delle madri con disabilità? Che cosa proporresti se potessi farlo?

Indubbiamente deve essere fatto di più.

In Italia, le madri con disabilità fisica grave sono in netta minoranza rispetto ai padri nella medesima situazione: questo per molteplici ragioni culturali, psicologiche o emotive, ma soprattutto per una tutela inesistente da parte della nostra legislazione in merito.

Al momento io sto ancora usufruendo del periodo di maternità, al termine del quale tornerò a svolgere il mio lavoro. Sono una madre lavoratrice con disabilità e vorrei che venissero riconosciute più ore di assistenza per poter sopperire totalmente ai miei bisogni ma anche a quelli di mia figlia. Il contributo economico di cui godo non è denominato “Vita Indipendente”, ma “buono sociale per caregiver professionale” perché sono sposata e non vivo da sola in autonomia: una scelta terminologica curiosa, ma che lascia intendere grosse lacune sul pensiero su cui si fonda.

Ragionando utopisticamente, nel mondo che vorresti, non troveresti più appropriato che ti venisse riconosciuto un aiuto economico per la tua indipendenza ed un altro in quanto madre con disabilità grave?

Assolutamente si. Attualmente ad occuparsi di Leila, oltre me, mio marito e i famigliari quando possono (dal momento che vivono lontani), c’è, come dicevo, la mia caregiver. Prima della gravidanza mi aiutava in casa e in ciò di cui necessito, ora su mia indicazione la priorità assoluta è la bambina. Tutto ciò, però, avendo un numero limitato di ore a disposizione, inevitabilmente si ripercuote sulle mie necessità che rispetto a prima della gravidanza non sono certamente diminuite o cambiate. Ho avuto la fortuna di trovare una collaboratrice portata all’accudimento di bambini, ma non è detto che una brava assistente individuale possa esserlo anche con un bambino. Anche per tale motivo, sarebbe importante separare le due figure con funzioni diverse e pertanto contribuiti economici diversi ed adeguati.

Oltre all’importantissimo aspetto economico ed assistenziale evidenziato finora, quali pensi possano essere le ragioni che fanno desistere le donne con disabilità grave dall’avere un figlio? Francesco, c’è qualcosa che vorresti sottolineare che ritieni importante?

Ulteriormente all’aspetto emotivo di ognuno, crediamo vada ad aggiungersi la mancanza di esempi concreti e vicini con cui confrontarsi. Quando abbiamo scoperto di aspettare un figlio, ci siamo subito mossi in rete ed ovunque per cercare mamme nella mia situazione fisica o similare: purtroppo, la maggior parte di loro vivevano all’estero con una situazione di welfare sicuramente diversa da quello italiano. Tuttavia, qualcuna l’abbiamo trovata, come ad esempio Marinella Arnone che ha ben due splendidi figli.

È importantissimo anche affidarsi alle strutture sanitarie giuste sia per gli esami genetici/ diagnostici prima di intraprendere una gravidanza ma anche durante tutto il periodo e nel momento del parto: abbiamo avuto la fortuna di essere seguiti al Niguarda di Milano, che ha già affrontato maternità come la mia, collaborando strettamente con il Centro Clinico Nemo. Sentirsi seguiti adeguatamente, compresi e sostenuti in tutto è fondamentale. Molte donne con disabilità che vivono in altre zone, probabilmente non sanno a chi rivolgersi nelle vicinanze o non ricevono le cure adeguate per mancata preparazione e informazione dei medici e del personale sanitario stesso. È importante fare rete a livello nazionale e, laddove c’è un buon modello assistenziale, replicarlo il più possibile.

 

 

Ritratto di gruppodonneuildm

gruppodonne