Femminismo: il bello deve ancora venire

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di Eda Marina Lucchesi

 

Dopo un primo testo sul femminismo, a firma di Simona Lancioni, diamo volentieri spazio al contributo di pensiero di Eda Marina Lucchesi, che non considera affatto conclusa l’esperienza del femminismo, e che ritiene che il contributo che esso possa dare alla causa delle donne con disabilità possa scaturire da una riflessione sull’uso del linguaggio. (S.L.)

 

“Tra essere uguali e uguaglianza, c'è una bella differenza" è una vignetta realizzata da Anarkikka (Stefania Spanò) per la mostra "Educare alle differenze", esposta a Roma nel settembre 2014. “Tra essere uguali e uguaglianza, c'è una bella differenza" è una vignetta realizzata da Anarkikka (Stefania Spanò) per la mostra "Educare alle differenze", esposta a Roma nel settembre 2014.

 

Non conosco l'inchiesta de L'Espresso sul femminismo [l’autrice si riferisce al servizio (da cui prende le mosse la riflessione di Lancioni) Donne, il femminismo ha perso?, realizzato da Sabrina Mirandi, per «L’Espresso», nell’ottobre scorso, N.d.R.], ma da alcuni articoli che ho avuto modo di leggere al riguardo, e dall'esperienza quotidiana, mi sono fatta l'idea che l'autodeterminazione delle donne faccia davvero tanta paura, al punto di negare l'importanza di una realtà di cui solo una parte è stata scritta e agita, mentre, a mio modesto avviso, il bello deve ancora venire. Mi rendo conto che gran parte dell'opposizione viene dalle donne stesse, ignare molte, irriconoscenti altre, di quanto dobbiamo a chi ha sfidato e affrontato il patriarcato prima di noi, a chi prima di noi si è messa in cammino senza sapere quali rischi avrebbe corso, a chi ha messo al mondo nuove parole e pratiche affinché anche noi imparassimo a mettere al mondo altre parole e pratiche.

Certo chi è a digiuno di tutto il lavoro che è stato fatto può trovare spiazzante il dibattito all'interno del femminismo, anzi dei femminismi, può accusarlo di essere contraddittorio, ma quale dibattito non è fatto anche di contraddittori? Se così non fosse non sarebbe possibile relazionarsi, i conflitti esistono e il femminismo ha dato un grande insegnamento nell'affermare che si deve confliggere senza distruggere. Capisco anche che il linguaggio della politica delle donne possa apparire astruso e confuso a chi parla soltanto il linguaggio della politica istituzionale - lo dico perché spesso postando alcuni articoli femministi su liste di discussione cui sono iscritta - si è scatenato un vero putiferio con accuse, appunto, di questo tipo, arrivate anche alle offese -.

Sul femminismo e sull'importanza che non solo ancora riveste, ma che sempre più rivestirà per cambiare veramente il modo di stare al mondo, ci sarebbe molto da dire, ma con cognizione di causa, ossia informandosi adeguatamente, studiando e facendo pratica politica nei gruppi di donne, e da qui lavorare nella società, nell'educazione, nel lavoro, nella politica, nelle relazioni, tenendo ben presente che ci vuole molto tempo per cambiare e costruire.

Intendiamoci, non dico che nei gruppi di donne sia tutto rose e fiori, le contraddizioni e i conflitti emergono come in altri luoghi, ma pare proprio che alle donne non si debba mai perdonare nulla, ammesso che ci sia qualcosa da perdonare in eventuali disaccordi.

Guardiamo, invece, quello che il femminismo, nelle sue varie espressioni, è stato capace di realizzare nel corso di un tempo relativamente breve, a fronte di millenni di patriarcato. Tanto, anzi tantissimo, e, questo, è davvero destabilizzante per l'ordine costituito.

Cosa può fare il femminismo per le donne disabili?

Io posso dire cosa è cambiato nella mia vita dall'incontro con il femminismo.

Sono diventata più consapevole delle mie fragilità e della mia forza, ho imparato a nominarmi e a percepirmi in altro modo e quante volte ho preso parola - e continuo a prenderla - quando le mie compagne - e anche i compagni - di cammino - usano nel loro linguaggio termini che trovo lesivi per le persone con disabilità. Qualche esempio? “Una legge zoppa”, “bisogna proprio essere sordi per non sentire o ciechi per non vedere”, quando per sentire e vedere non intendiamo qualcosa di realmente legato all'handicap di riferimento – ad esempio, un fischio lancinante o un armadio in mezzo a una strada -, bensì la mancanza di comprensione e raziocinio.

Perché faccio questo?

Lidia Menapace [donna impegnata in politica e una delle voci più importanti del femminismo italiano, N.d.R.] ha fatto un gran lavoro sulla terminologia di guerra, altrettanto si è fatto per il linguaggio omofobo, le femministe hanno lavorato e lavorano sul linguaggio sessista, ed è stato proprio in questo ambito che qualcosa è scattato nella mia mente: anche per quanto riguarda la disabilità c'è tanto da fare per rimodellare il modo di nominare le cose, le situazioni e gli eventi.

Strano a dirsi, o forse no, quelle che meno mi seguono in questo piccolo lavoro che ho intrapreso in solitaria, sono proprio le persone con disabilità. I motivi addotti sono abbastanza scontati: si tratta di modi di dire, non c'è nulla di offensivo, è la tradizione, ecc. ecc.

Ma il femminismo - e anche gli altri movimenti sopra menzionati per la verità - mi ha insegnato che le parole hanno un significato e che i modi di dire - e compagnia bella -non sono mai neutri né innocui. Naturalmente, ora che ho imparato dalle mie maestre, non le lascio più in pace ogni volta che le trovo in fallo!

Per quanto concerne le donne disabili credo che il femminismo sia una grande risorsa per potersi liberare da tutti quei modelli consumisti, capitalisti, patriarcali che disegnano la donna ad uso e consumo di un sistema divorante e annichilente per le donne in generale, figuriamoci per quelle che sono state private di qualche senso, arto, funzione fisica o psichica.

Chiedo scusa per questo intervento scritto di getto, sicuramente lacunoso, e ringrazio per l'opportunità di esprimermi che mi è stata offerta.

 

Per approfondire:

Simona Lancioni, Femminismo, bagagli a mano e donne con disabilità, Gruppo donne UILDM, 2015.

Sabrina Mirandi, Donne, il femminismo ha perso?, sito de «L’Espresso», 12 ottobre 2015.

 

Ultimo aggiornamento: 9 novembre 2015

 

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