Donne con disabilità e lavoro: una sfida ancora aperta

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di Silvia Lisena

 

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro […]

(Art. 1 della Costituzione italiana)

 

Oggi è il primo maggio, la Festa dei Lavoratori.

Il lavoro è un concetto antichissimo e da sempre è un'occasione di scambio, confronto, sfida e crescita.

Ma qual è la situazione delle donne con disabilità nel mondo del lavoro?

Come sempre, dobbiamo scindere le due dimensioni (quella di donna e quella di persona con disabilità) per poi unirle approdando alle considerazioni finali.

L'inserimento lavorativo delle persone con disabilità è regolato dalla Legge 68/99 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”che introduce i principi del collocamento mirato e decretando l'obbligo, da parte dei datori di lavoro pubblici e privati, di “avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie di cui all'articolo 1 nella seguente misura: a) sette per cento dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti; b) due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti; c) un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti” (art. 3). Tale precisazione risulta essere poi leggermente variata grazie al D.lgs. 151/2015 o “Jobs Act” che impone l'obbligo di assunzione per le aziende da 15 a 35 dipendenti a partire dal quindicesimo dipendente (e non solo in caso di nuove assunzioni, come previsto in precedenza).

Secondo i dati Istat 2019, “Attività conoscitiva preliminare all’esame del disegno di legge recante bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022”, delle persone abili al lavoro di età compresa tra i 15 e i 64 anni il 35,8 ha limitazioni funzionali contro il 57,8 che ne è privo.

E l'esonero delle assunzioni delle “categorie protette” certificato dalla Circolare INPS n. 19 del 21 dicembre 2020, il cui termine è scaduto lo scorso 30 marzo, di certo non ha aiutato.

Sì, perché la ricerca di un lavoro per le persone con disabilità appare spesso come una lotta più che una conquista. La crescente proliferazione dei contratti part-time, soprattutto destinati agli under30, solleva non pochi dubbi sull'effettiva qualità della mansione svolta, che quindi rischia di risultare non conforme alle reali capacità della persone senza neanche lasciare orizzonti di miglioramento in tal senso; inoltre, essa impatta l'inserimento della persona nel contesto lavorativo che inevitabilmente appare maggiormente difficoltoso dal momento che deve scontrarsi con i soliti pregiudizi da parte di colleghi e/o superiori.

Il discorso sull'inserimento lavorativo delle donne, invece, si lega purtroppo a quello sugli episodi di discriminazione da loro subita. I dati Censis 2019 rilevavano che il tasso di attività femminile è del 56% circa contro il 75% degli uomini, con un gender pay gap del 20%. La pandemia ha aggravato le disuguaglianze sociali, infatti l'Istat restituisce cifre sconvolgenti: in tutto il 2020 in Italia ci sono stati 444mila occupati in meno di cui il 70% è costituito da donne che sono finite disoccupate o inattive. Ciò si basa, almeno in gran parte, sul prototipo conservatore e tradizionalista che vede ancora la donna come colei che deve occuparsi della casa e soprattutto dei figli, attività, che con il continuo gioco tra aperture e chiusure della scuola mediato dalla DaD, le ha imposto un sacrificio abbastanza oneroso. Non che in epoca pre-Covid la situazione fosse migliore: si è dimenticato il fenomeno del mobbing da maternità che subivano le donne durante il primo colloquio di lavoro? Lavorare è faccenda per uomini e, se una donna osa sconfinare in tale campo, il prezzo da pagare è la rinuncia a un legittimo diritto. Se poi la donna è appariscente può anche capitare che subisca molestie, o addirittura violenze, dal datore di lavoro o da qualche collega, atto per cui la denuncia corrisponde spesso ad un licenziamento immediato.

Adesso si provi ad assemblare i due ambiti toccati in precedenza e si avrà un quadro abbastanza delineato della situazione lavorativa delle donne con disabilità.

Ancora qualche dato relativo al 2018: il 41,3% dei quasi 360mila occupati con disabilità sono donne, con un picco massimo del 46,9% in Veneto e minimo del 28% in Molise. Di queste il 41,2% svolge professioni esecutive nel lavoro d'ufficio contro il 32,7% degli uomini (seguono le professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi con 15,8% contro 8,7%, le professioni tecniche con 15,2% contro 13,9% e i dirigenti, professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione con 6,7% contro 4,4%), in ambito pubblico per il 49,9% sul totale degli occupati con disabilità.

Anche le donne con disabilità possono essere vittima di discriminazioni, dal mobbing alla violenza che appare più difficilmente denunciabile a causa della maggiore diffidenza da parte della stessa vittima, ragione che porta l'aguzzino ad agire più facilmente. E se a una donna con disabilità non viene fatta pressione sulla maternità perché si pensa che non possa avere figli, si tratta comunque di una discriminazione legata ad una desessualizzazione del corpo della persona stessa; così anche il suo inserimento lavorativo risulta essere più arduo in quanto si pensa che una donna con disabilità non condivida lo stesso tessuto socioesistenziale che stanno vivendo le altre donne.

Come Gruppo Donne UILDM vogliamo esprimere l'auspicio che questa giornata possa fungere da spunto per iniziare una profonda analisi sulla situazione lavorativa delle donne con disabilità e sulle implicazioni sociali ad essa sottese, in modo da cercare le soluzioni più rapide ed efficaci affinché tale percorso possa essere incentivato in virtù della diffusione dell'importanza di considerare le donne con disabilità come risorse capaci di offrire un contributo sostanziale in ogni settore.

 

Fonti:

L'inclusione lavorativa delle persone con disabilità in Italia

Ritratto di gruppodonneuildm

gruppodonne