Quando il revenge porn ha il "fattore H"

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a cura di Silvia Lisena

 

Le pagine dei maggiori giornali italiani sono state ultimamente interessate da un episodio di cronaca nera che ha sconvolto l'universo digitale: stiamo parlando del caso revenge porn, ossia la condivisione pubblica di foto e video intimi tramite Internet senza che i protagonisti ne abbiano dato il consenso.

Inizialmente, come suggerisce la traduzione letterale del termine, tale pratica era correlata ad un morboso desiderio di vendetta scaturito dalla fine di una relazione sentimentale, ma successivamente essa si è evoluta fino ad assecondare meri intenti di distribuzione di pornografia.

In ogni caso, l'obiettivo principale è l'umiliazione del soggetto-vittima che spesso è identificabile dalle informazioni personali che, sempre senza il suo consenso, vengono divulgate.

Il revenge porn è, quindi, ben ascrivibile ad una forma di violenza e di abuso psicologico e sessuale: in questi anni, fortunatamente, molti Paesi hanno attuato concreti provvedimenti per contrastare il fenomeno, tra cui l'Italia che con la legge 19 luglio 2019 n.69 applica sanzioni a tutti gli attori che contribuiscono nella diffusione non consensuale di video o foto del soggetto coinvolto, incrementando la pena da un terzo alla metà se ciò avviene a danno di persone con disabilità fisica o psichica.

Nel nord Italia, precisamente a Torino, sul finire dello scorso millennio è nata l'Associazione Verba che offre numerosi servizi per contrastare la discriminazione multipla riguardante le donne con disabilità (qui un'interessante intervista a cura di Simona Lancioni): tra essi si annovera il Servizio Antiviolenza, sorto nel 2014, che solo lo scorso anno ha contato 73 accessi di persone con disabilità, di cui il 78% era di tipo intellettivo. Il 47% di quest'ultima percentuale è stato vittima di revenge porn, ma si è registrato anche il caso di una donna con disabilità uditiva.

La dinamica del fenomeno risulta essere congruente a quella perpetrata nelle altre casistiche, ossia si basa sul topos dell'adescamento online sui vari social network – a partire da Facebook fino a chat di incontri come Badoo. L'aguzzino apre la conversazione con la donna rivolgendole complimenti che si stagliano su un climax ascendente e che sono accompagnate dalla richiesta sempre più frequente di fotografie che ritraessero il corpo nudo e/o parti intime. Successivamente l'interazione, o la relazione in talune situazioni, virtuale si interrompe ed ha inizio la divulgazione delle suddette immagini nel circuito di gruppi social.

La disabilità della donna, che a volte si declina concretamente nella non linearità dei tratti fisici, diventa quindi facilmente oggetto di scherno perché ritorna insistentemente l'idea dell'asessualità della persona con la conseguente aggiunta di una forte degradazione della sua femminilità.

Prendere di mira un corpo non perfetto rappresenta il bisogno morboso di esorcizzare la paura nei confronti del diverso, ma forse anche la paura della propria fragilità che, come automatismo difensivo, sviluppa un accanito meccanismo di ricerca di un capro espiatorio per sottolineare il divario tra sé stesso e l'altro.

Com'è prevedibile, la quarantena ha portato ad un'acutizzazione dei casi di revenge porn che coinvolgono le donne con disabilità, purtroppo ancora scarsamente denunciati sebbene numerosi CAV e la stessa Associazione Verba abbia aperto tutti i canali possibili per chiedere aiuto.

È importante che questi episodi non vengano assolutamente trascurati e anche il Gruppo Donne UILDM si unisce al caloroso invito a ricercare un supporto psicologico e a segnalare tali “reali telematici”.

In attesa, si spera non utopisticamente, di un piano educativo improntato alla diffusione della cultura della disabilità e del valore del “diverso” come qualcosa che non deve essere soggetto di umiliazione bensì considerato una risorsa che rende il mondo così ricco e vario.

Ritratto di gruppodonneuildm

gruppodonne